Ci troviamo in Oman e siamo diretti verso il deserto, percorriamo la hway Sur-Ibra e ad un certo punto, non saprei dire con esattezza dove, poiché non c’erano cartelli stradali che indicano le dune di Sharqiya o di Wahiba, svoltiamo a sinistra; qui la strada diventa più stretta e, man mano che procediamo, sempre più rovinata, finché non diventa sterrata.
Ad un certo punto, dal nulla, appaiono le dune con colori che vanno dal giallo all’arancione, che meraviglia, il deserto ha un fascino indescrivibile, soprattutto per chi come noi vive in posti che sono l’esatto opposto.
La strada sterrata diventa di sabbia ma con il fondo compatto, ad un certo punto la nostra guida, senza dirci nulla, si butta fuoristrada sulla sabbia: wow! Anche qui comunque la sabbia è compatta e gli consente di andare a una velocità di 140 km/h senza problemi; ma rallentare un po’ no? In effetti non c’è nessuno e si sa che agli omaniti piace la velocità!
Questa è la patria dei beduini del deserto, lungo la strada incontriamo qualche tenda beduina; ad un certo punto ci fermiamo in prossimità di una di esse e scendiamo dall’auto.
Veniamo accolti da due donne, madre e figlia, che ci invitano ad entrare nella tenda e ci offrono immediatamente il caffè, datteri e l’halwa, che, insieme al umm’Ali , è uno dei più diffusi dolci omaniti, e noi amiano il cibo omanita.
Non parlano inglese ma solo il beduino e un po’ di arabo; la nostra guida ci racconta che i beduini vivono nel deserto, allevano i cammelli da corsa ma utilizzano questi animali anche come mezzo di trasporto e fonte di cibo, sia per la carne che per il latte, usano le ossa per costruire oggetti e suppellettili e la lana per fare tappeti e indumenti.
La tenda è enorme e vuota, è stata eretta direttamente sulla sabbia e per terra ci sono dei tappeti beduini di lana di cammello colorati con colori naturali, c’è uno scaffale con degli oggetti di uso comune.
In un lato della tenda, per terra, ci sono una serie di oggetti che le due donne vendono ai turisti, sono principalmente braccialetti, portachiavi, porta cellulari e borse in lana di cammello, maschere delle donne beduine; poco più il là scorgiamo il telaio con cui realizzano questi oggetti, non si può certo dire che non siamo artigianali e fatti a mano.
Compriamo qualche souvenir e usciamo dalla tenda, lì accanto vediamo un vecchio camion, sembra più un oggetto in esposizione che un mezzo funzionante; di fianco è parcheggiato un cammello.
Torniamo in auto e proseguiamo sulla strada di sabbia, non c’è nessuno, ci siamo solo noi con la nostra macchina che solleva un polverone mai visto.
Ad un certo punto, alla nostra sinistra, inizia a alzarsi una grande duna e, man mano che procediamo, diventa sempre più alta, ad un certo punto la duna vira verso destra e noici troviamo un muro di 200 metri davanti a noi; ingenuamente crediamo che la nostra strada prosegua virando a destra, ma ci sbagliamo: dobbiamo salire sulla duna per proseguire.
Abdul Malik inserisce le ridotte, prende la rincorsa e si lancia sulla duna, che ha una pendenza fortissima, sembra di salire su un muro.
Non sembra una cosa facile salire e infatti ci prova una volta, poi una seconda, poi una terza e poi chiediamo aiuto alla guida di un altro veicolo che sembra un po’ più sul pezzo; infatti dopo un tentativo fallito lui riesce a portare la nostra auto in cima alla duna.
Dalla sommità della duna si apre una vista spettacolare sul deserto sottostante: ci sono solo sabbia e dune a perdita d’occhio.
Qui parte una pista di sabbia, più soffice rispetto all’altra, dobbiamo quindi procedere con le ridotte; ai lati della strada si alzano le dune, hanno un colore più intenso rispetto a quelle di prima, vanno dall’arancione al rosso, aiutate anche dalla luce del sole del tardo pomeriggio.
Poco dopo arriviamo al lodge dove abbiamo prenotato, il 1000 Nights Camp, è un vero campo tendato beduino nel nulla più totale del deserto; le parti comuni del lodge sono in muratura coperte da tappeti, cuscini e teli in lana di cammello, il colore predominante è il rosso.
La reception ha un aspetto accogliente, qui accolgono i nuovi ospiti all’arrivo, e non appena entriamo, mentre facciamo check-in, ci offrono il tè alla menta, come da tradizione beduina.
Accanto alla reception c’è un piccolo maneggio con qualche cavallo, è possibile prenderli per fare un giro nel deserto e per arrampicarsi sulle dune, anche se i cammelli, parcheggiati poco più in là, sono migliori sulla sabbia.
Superata la reception, qua e là, intravediamo alcune tende, queste sono le camere degli ospiti; sono realizzate in lana di cammello a righe marroni e beige e sollevate da terra da una piattaforma di legno.
L’interno è arredato in modo un po’ spartano, ma non manca nulla: ci sono due grandi letti, un tavolino con due sedie, il pavimento è ricoperto da tappeti beduini; mentre il bagno è in muratura, sul retro della tenda e non ha il soffitto: divertente l’idea di fare la doccia sotto le stelle!
Lasciamo le nostre valigie in camera, ci cambiamo e andiamo a fare un giro per il campo.
La zona a disposizione degli ospiti sembra un castello beduino, da una parte c’è il ristorante, che ricorda molto un caravanserraglio beduino; mentre dall’altra parte c’è un dhow, imbarcazione tipica omanita, ci chiediamo cosa ci faccia qui; è stato adibito a bar.
Accanto al dhow c’è una piccola piscina e noi non ci lasciamo scappare l’occasione di fare un bagno e prendere un po’ di sole.
Ci sono delle persone che salgono a piedi su una delle dune aiutandosi con una corda legata alla sommità, e poi scendono lungo il pendio con uno slittino, sembra divertente; ci dicono che a volte utilizzano anche gli sci: una valida alternativa alla settimana bianca!
Man mano che si avvicina l’ora del tramonto la sabbia delle dune diventa sempre più rossa, sembrano quasi incendiate dal sole, che meraviglia; ci godiamo questo spettacolo e poi andiamo in camera a prepararci per cena.
Quando usciamo dalla tenda per andare a cena c’è buio, i vialetti sono illuminati con delle lampade ma fanno pochissima luce, quindi ci portiamo la torcia.
Qui in mezzo al nulla e praticamente senza luci guardiamo il cielo ed è uno vero spettacolo: le stelle sono meravigliose, abbiamo la sensazione che siano vicinissime, si vedono chiaramente le costellazioni, le individuiamo utilizzando un’app del nostro smartphone; siamo aiutati anche dal fatto che la luna non è ancora sorta e il cielo è scurissimo.
Andiamo verso il fortino dove si trova il ristorante, dentro è arredato in stile beduino; per entrare dobbiamo togliere le scarpe, il pavimento è ricoperto di tappeti e ci sono dei mobili che sembrano quelli degli esploratori del ‘900.
Ci sediamo e ci servono una zuppa, mentre il resto della cena è a buffet: fuori dall’edificio, nel cortile antistante si trovano una serie di banchetti, qui ci sono cuochi che cucinano al momento una serie di piatti della cucina omanita; sembra di essere stati catapultati indietro nel tempo a quando le carovane attraversavano il deserto e cercavano riparo per la notte nei caravanserragli.
Dopo cena sentiamo della musica provenire da lontano, poco dopo arrivano alcuni musicisti che suonano strumenti tradizionali, ci sono anche delle donne che indossano gli abiti beduini che cantano e ballano le danze locali.
Interessante da vedere anche se dopo un po’ questo tipo di musica ci annoia; siamo anche stanchi, la notte precedente non abbiamo dormito molto, abbiamo passato buona parte della notte in spiaggia a Ras al Jinz per vedere le tartarughe, quindi andiamo in tenda a dormire abbastanza presto.
Il Deserto Omanita ci ha proprio stregato!